In questa dichiarazione vengono usate le stesse parole, riportate in Atti 2:12, 13, pronunciate da quanti erano testimoni della prima riu­nione pubblica della Chiesa Cristiana:”… tutti stupivano ed eran perplessi dicendo­si l’uno all’altro: Che vuol esser questo? Ma altri, beffandosi, dicevano: Son pieni di vin dolce”. Certamente, assistere oggi ad una fun­zione religiosa cristiana fuori del comune, può stupire il visitatore occasionale.

INCOMUNICABILITA’

Ci troviamo in una società che vive all’insegna dell’incomunicabili­tà, perché in generale si è incapaci di trovare un accordo ideologico e sentimentale con chi ci sta vicino. Il timore di trovarsi in contrasto con il prossimo e la paura di una reazione violenta spingono l’individuo a non comunicare, ad incupirsi nei propri problemi e a non esternare le proprie idee e i propri sentimenti. Per rendersi conto della tristissima piaga dell’incomunicabilità, ba­sta guardarsi intorno quando si viaggia sui mezzi pubblici, oppure no­tare il viso severo e scuro della maggior parte delle persone alla guida delle automobili, chiusi nelle loro gabbie di metallo più o meno grandi, pronti a reagire in modo improprio nei confronti di altri automobilisti o dei passanti. Questa “malattia” diviene ancora più evidente nel rapporto di carat­tere religioso. Oggi, la maggior parte dei fedeli, anche i più osservanti, non partecipano alle funzioni religiose, ma sono soltanto spettatori si­lenziosi e, talvolta, perfino indifferenti. Per questo, la fede diviene un fatto personale che non deve essere minimamente espresso, ma rimanere soltanto nell’ambito personale ed intimo.

EMOTIVITA’

E’ questa la vera fede cristiana o, piuttosto, nel tempo si è trasformata in modo tale da divenire una forma religiosa vuota, che deve far tacere ogni manifestazione spontanea ed emotiva per non correre il rischio di cadere in una forma di pericoloso fanatismo? Gli estremi sono sempre perniciosi. Se è vero che delle feste religiose popolari spesso esprimono con un eccesso di emotività soltanto delle pratiche superstiziose, non bisogna dimenticare che la componente emotiva dell’animo umano non può essere repressa quando si esprime un moto affettivo.

Nella chiesa dell’era apostolica troviamo questa partecipazione atti­va di tutti i credenti al culto “… in ispirito e verità …” (Giovanni 4:24).

La vera adorazione a Dio per mezzo di Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, non può avvenire senza questo “moto intenso del­l’animo umano che si eleva al di sopra delle situazioni contingenti” ed esprime liberamente i propri sentimenti verso il Signore che sente vici­no, vivente e reale. Certamente ogni cosa deve essere “… fatta con decoro e con ordine” (I Corinzi 14:40), ma questo non vuol dire che debbano essere soffocati completamente i sentimenti di lode e di adorazione sincera verso Dio.Il termine biblico tradotto “decoro” denota non soltanto un modo conve­niente che rispetti la dignità d’ognuno, ma anche qualcosa di onesto che esprime grazia. Alcuni pensano che il decoro consista nel dignitoso silenzio; altri nell’espressione gioiosa delle azioni di grazia e di lode ver­so Gesù Cristo, degno di ogni espressione di gratitudine. L’ordine di cui parla il testo non è la statica serie di elementi tutti uguali; il termine originale è tradotto altrove nel Nuovo Testamento an­che con la parola “modestia”. Quindi, senza vanità o vanagloria, ma con umiltà.

PARTECIPAZIONE

E’ stato già detto che nel Nuovo Testamento le riunioni di culto ri­chiedevano la partecipazione di tutti i credenti. Infatti, l’apostolo Paolo, ispirato dallo Spirito Santo, parlando dell’ordine del culto non insegna ai cristiani ad assistere alle “funzioni religiose” ma li invita a contribuire in modo ordinato alla elevazione della comunità, evitando tutto quello che può edificare sé stessi senza tenere conto del bene comune; “… poi­ché siete bramosi dei doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edifi­cazione della chiesa … Quando vi radunate, avendo ciascun di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lin­gua, facciasi ogni cosa per l’edificazione” (I Corinzi 14:12, 26).

Questi consigli pratici rivelano quanto appare evidente da una lettu­ra senza preconcetti del libro degli Atti degli Apostoli, particolarmente dei testi relativi alle riunioni di culto delle comunità cristiane di allora. Si può notare l’intervento spontaneo di tutta la comunità, nella gui­da dello Spirito Santo. Una testimonianza di questa adesione comune si ritrova ancora oggi nella liturgia ecclesiastica, ad esempio nel “responsorio”, un canto litur­gico alternato tra solista e coro, o nelle preghiere liturgiche nelle quali si alterna la preghiera del ministro alla risposta dell’uditorio.

Soltanto quando si persero l’immediatezza e la spontaneità del culto cristiano, per la mancanza di una profonda esperienza spirituale da parte di coloro che si convertivano, si rese necessario instaurare forme liturgiche ben precise che sollecitavano l’uditorio ad una partecipazio­ne formale ma passiva.

Un ritorno alla forma originale del culto cristiano “… in ispirito e verità …” si manifestò nei vari risvegli religiosi di ogni epoca fino a quello attuale, dal quale sono sorte le nostre comunità evangeliche.

UDIBILE

La preghiera comunitaria con la partecipazione diretta di tutti è una peculiarità del nostro culto cristiano e si fonda su questi elementi:

a. È biblica: la Sacra Scrittura è ricolma di testimonianze, sia nell’An­tico come anche nel Nuovo Testamento, che rivelano l’adorazione cora­le a Dio;

b. È pratica: non soltanto per l’aspetto psicologico, ma ogni volta che i credenti si esprimono ad alta voce fanno “… prigione ogni pensiero traendolo all’ubbidienza di Cristo” (II Corinzi 10:5). Ogni volta che un pensiero si esprime con parole, la mente è obbligata a non distrarsi, mentre se l’attività intellettuale rimane a livello di pensiero facilmente ne viene distolta;

c. È edificante: perché chi è testimone di questo atto spontaneo di pietà potrà anche inizialmente rimanere perplesso, ma alla fine dovrà convenire di trovarsi di fronte a persone sincere che credono ferma­mente in quello che professano. È possibile, talvolta, eccedere e dimenticare la regola evangelica:”… ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine” (I Corinzi 14:40), ed andare all’altro estremo, cioè “soffocare lo Spirito” ed impedire ogni partecipazione spontanea della comunità all’adorazione seguendo una liturgia precostituita; è un rischio reale. L’equilibrio è provveduto dal Signore stesso che ha donato alla Chie­sa i ministeri, se chi presiede la riunione, nella guida dello Spirito Santo, attuerà il principio “… chi presiede, lo faccia con diligenza …” (Romani 12:8), allora a nessuno sarà tolto il privilegio della comunica­bilità e della spontaneità. Ma in quella libertà data dallo Spirito del Si­gnore ognuno potrà esprimere i propri sentimenti nella preghiera e nella lode per ‘edificazione comune e se “… entra qualche non creden­te o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti, i segreti del suo cuore sono palesati; e così, gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi” (I Corinzi 14:24, 25).