I sentimenti e le reazioni diverse create dal problema palestinese,
indubbiamente lasciano perplessi i molti amanti della Bibbia, e soprattutto quanti considerano con interesse le profezie bibliche riguardanti Israele. La risposta non è facile perché è complicata molto dalle diverse posizioni politiche, sociali e religiose. La questione palestinese e la sua soluzione restano uno dei problemi più ardui della storia contemporanea.
Tuttavia, bisogna tener conto, dal punto di vista biblico, che quando Dio parla di promesse per Israele si riferisce al Suo popolo, fedele al piano ed al programma che Egli stesso ha stabilito. Ritenere che Dio adempia le Sue promesse agli israeliani, unicamente perché sono un popolo che discende da Abramo significa fare un’analisi molto superficiale della Scrittura. Bisogna ricordare che il principio stabilito da Yahwèh:”… io onoro quelli che m’onorano …” (I Samuele 2:30) è sempre valido. Così rimane immutato il riferimento alla fedeltà verso Dio: “In quel giorno il residuo d’Israele e gli scampati della casa di Giacobbe cesseranno d’appoggiarsi su colui che li colpiva, e s’appoggeranno con sincerità sull’Eterno, sul Santo d’Israele. Un residuo, il residuo di Giacobbe, tornerà all’Iddio potente. Poiché, quand’anche il tuo popolo, o Israele, fosse come la rena del mare, un residuo soltanto ne tornerà …” (Isaia 10:20-22).
GLI ARABI: LORO ORIGINE
Sono anch’essi posterità di Abramo, precisamente discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e della sua serva Agar.
Anche i discendenti d’Ismaele hanno nella Scrittura riferimenti precisi a delle promesse che Dio fece loro. Ad Agar, in attesa di Ismaele e scacciata dalla casa di Abramo, Dio disse: “… Io moltiplicherò grandemente la tua progenie e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa … partorirai un figliuolo, al quale metterai il nome di Ismaele (lett. Dio ascolta, N.d.A.)
… esso sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà in faccia a tutti i suoi fratelli” (Genesi 16:10-12).
Abramo, al momento di ricevere la promessa della nascita d’Isacco, si preoccupò anche di suo figlio Ismaele e pregò Dio dicendo:” … ‘Oh, possa almeno Ismaele vivere davanti a te!’. Dio rispose: `… Quanto a Ismaele, io ti ho esaudito. Ecco, io l’ho benedetto e farò in modo che si moltiplichi e si accresca straordinariamente. Egli genererà dodici principi e io farò di lui una grande nazione. Ma stabilirò il mio patto con Isacco .. .’“ (Genesi 17:18-21; Vers. N.R ).
È quindi evidente che se Israele, discendente da Isacco, è il popolo del patto e della promessa, anche il popolo arabo, discendente da Ismaele, ha un posto nel piano di Dio e nella storia. Tanto è vero che nella Scrittura è descritto perfino il territorio che i discendenti di Ismaele avrebbero abitato: “… i suoi figliuoli abitarono da Havila fino a Shur, che è dirimpetto all’Egitto, andando verso l’Assiria. Egli si stabilì di faccia a tutti i suoi fratelli” (Genesi 25:18). Quest’ultima frase della Scrittura conferma la promessa di Dio ad Agar riportata in Genesi 16:12.
La natura di questo popolo è, secondo la profezia divina ad Agar, “… come un asino selvatico …”. Questa non è una descrizione dispregiativa: l’asino selvatico, irriducibile ed impossibile da addomesticare, descrive la natura combattiva del popolo arabo, infatti “… sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui …”, ma “… abiterà in faccia a tutti i suoi fratelli”. Avrà una sede, una terra, che sarà confinante con quella d’Israele.
Dopo l’incontro di Ismaele ed Isacco al funerale di Abramo, loro padre (cfr. Genesi 25:9), i loro discendenti non s’incontrarono più da fratelli, ma sempre si scontrarono da antagonisti. Ai dodici principi, anch’essi come il popolo di Israele capi di dodici tribù (cfr. Genesi 25: I 3- 16), si unì poi Esaù, che sposò una figlia di Ismaele generando gli Edomiti, anch’essi nemici giurati d’Israele.
Il primo atto d’ostilità degli ismaeliti è l’aver comprato Giuseppe come schiavo dai suoi stessi fratelli (cfr. Genesi 37:28).
GLI ARABI: LORO CONFINI
Ma torniamo alla questione palestinese. Secondo la Scrittura il popolo arabo abiterà”… di fronte a tutti i suoi fratelli”.
Questa frase è tradotta in modo diverso nelle varie versioni: Giovanni Diodati traduce: “… abiterà dirimpetto a tutti i suoi fratelli”; la versione Nuova Riveduta traduce: “… abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli”; la versione inglese NIV (New International Version) traduce:”… Egli vivrà in ostilità verso tutti i suoi fratelli” e nella nota precisa oppure:”… Egli vivrà ad est dei suoi fratelli”.
Inoltre, in Genesi 25:18 i confini descritti sono ben precisi: “… da Havila fino a Shur, che è dirimpetto all’Egitto, andando verso l’Assiria …”. Come Dio ha fissato i confini d’Israele, così anche li ha stabiliti per Ismaele. Questi confini corrispondono attualmente all’incirca: a sud con l’Arabia Saudita (regione del Negev); ad ovest fino al deserto di Shur, cioè la parte nord-ovest della penisola del Sinai, che è il deserto arabico; a nord-est e ad est verso l’Assiria, cioè comprende parte degli attuali paesi della Giordania, Siria ed Iraq.
Naturalmente, contro questa concezione araba dei confini, si oppone Israele che si fa forte delle promesse profetiche bibliche.
Occorre però ricordare che biblicamente esistono tre figure d’Israele: il fico (Israele politico); l’ulivo (Israele religioso); la vite (Israele spirituale). Il 14 maggio 1948, tutti i cultori delle profezie bibliche esultarono perché “il fico era germogliato”. Gesù nel sermone profetico aveva affermato: “Or imparate dal fico questa similitudine: Quando già i suoi rami si fanno teneri e metton le foglie, voi sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete avvenir queste cose, sappiate che egli [Cristo; N.d.A] è vicino, alle porte” (Marco 13:28, 29). La proclamazione dello Stato d’Israele, dalla cui data sono ormai passati più di cinquant’anni, è certamente un segno che Israele politico è risorto e che il Messia”… è vicino, alle porte”.
LA SOLUZIONE BIBLICA
Questo non giustifica comunque l’appellarsi d’Israele a tutte le promesse divine senza tornare a Dio, senza umiliarsi dinanzi a Lui e senza smettere di richiedere sostegno esterno.
Quando si appoggerà “… con sincerità sull’Eterno …”, allora si troverà la soluzione del problema palestinese. Perché se è vero che Yahwèh ha promesso a Israele la terra, è altresì vero che ha promesso ad Ismaele una sede che si confaccia alla sua stessa natura e cultura.
Uno stato ebraico, eretto senza il Messia, sarà sempre una forma di nazionalismo che tenta di legittimare il possesso della terra promessa senza una vera conversione a Dio. Israele dovrà tornare ad essere la vigna dell’Eterno (cfr. Isaia 5:1, 2), allora soltanto vedrà adempiute tutte le promesse di Dio ad Abramo. I discendenti di Isacco non potranno mai fare a meno di confrontarsi con i discendenti di Ismaele, ma se riconosceranno la matrice comune e anche le promesse divine per loro, la soluzione definitiva si potrà trovare e sarà gradita ad entrambi.
È nota l’innata simpatia dei cristiani evangelici per gli ebrei,”… prima di tutto, perché a loro furono affidati gli oracoli di Dio” (Romani 3:2); poi, per il motivo fondamentale che il più noto degli ebrei è per noi il più caro personaggio della storia: Cristo Gesù il Signore, vero Dio e vero uomo, della tribù di Giuda; ed infine, perché le comunità ebraiche sparse nel mondo, allo stesso tempo minoranza etnica e religiosa, sono state accomunate con gli evangelici, anche nel recente passato, sia nelle persecuzioni che nel disprezzo da parte delle religioni maggioritarie. Tuttavia, non possiamo permetterci di fare giudizi parziali verso il mondo arabo che, per cultura e religione, è distante da noi ma, frenando ogni posizione di parte, manifestiamo amore verso tutti, affinché Israele e Ismaele, come tutti gli altri, possano essere conquistati dal Messia, Cristo Gesù il Signore, unico Salvatore del Mondo.